Costi degli investimenti: la diversificazione eccessiva, le compravendite troppo frequenti.
Ci sono numerosi “trucchi” utilizzati dalle società di gestione del risparmio e dalle banche per fare salire i costi dei servizi degli investimenti a carico dei clienti.
Questi escamotage di solito sfruttano le scarse competenze della clientela come chiave per spingerla verso comportamenti improduttivi o rischiosi. In questo e in alcuni dei prossimi articoli ne passeremo in rassegna i principali.
Uno dei principali problemi che un risparmiatore deve considerare al momento delle sue scelte di investimento è quello della diversificazione del portafoglio.
In sostanza, va analizzato e valutato il rischio della presenza tra i propri investimenti di un numero eccessivamente limitato di strumenti finanziari, perché non è saggio “mettere tutte le uova in un solo paniere”: in caso di difficoltà di un solo emittente, o di crisi di un solo settore o di un solo Paese, come pure di svalutazione di una singola valuta estera, la probabilità di soffrire perdite rilevanti sul proprio capitale si fa estremamente elevata.
Un primo consiglio
È dunque sempre saggio e utile diversificare il rischio, diminuendone la concentrazione nel proprio portafoglio mobiliare tra più asset class (azioni, obbligazioni, fondi, altri strumenti, polizze a contenuto finanziario) e tra diversi emittenti, come anche tra diverse valute (sempre che si sia disposti a sopportare il rischio di cambio).
Allo stesso modo, per chi non ha grandi somme da investire come pure per chi intende contare sempre su una relativa liquidità dei propri asset spesso non è utile puntare su strumenti “single name” come azioni od obbligazioni di un solo emittente.
Piuttosto su strumenti collettivi come fondi comuni ed Etf che consentono di diversificare attraverso le politiche di gestione e la scelta del paniere di titoli sottostanti.
Attenzione!
Attenzione però perché se questa politica di investimento è consigliata, altrettanto sconsigliata è l’eccessiva frammentazione del portafoglio.
Il difetto di una diversificazione esasperata è proprio quello che dicevamo all’inizio: l’esplosione dei costi, siano essi di sottoscrizione (se ciò avviene all’emissione) come pure di movimentazione.
Ne è un esempio classico una lettera pubblicata da Plus24, il settimanale di finanza e risparmio del Sole 24 Ore, nell’edizione del 28 settembre 2019.
Un lettore segnala di aver acquistato “oltre 130 titoli” nel conto di famiglia che egli stesso gestisce, collezionando “nel portafoglio molti strumenti, anche di importi bassi, e molti Etf molto simili tra loro”.
Il limite di queste scelte è specificato poco più avanti: “Ciò è dettato dal fatto che quando, per interessi o scadenze, trovo denaro sul conto, lo reinvesto su qualche strumento di cui trovo notizie e recensioni su stampa e web”.
Come spiega la risposta degli esperti contattati dal settimanale, però, “per quanto un approccio agli investimenti che veda il ricorso a più tipologie di strumenti e prodotti finanziari sia corretto, un’eccessiva numerosità di questi all’interno del portafoglio rende più complessa la gestione complessiva dello stesso e, allo stesso tempo, non garantisce necessariamente un’adeguata diversificazione degli investimenti.
In pratica
Questo perché l’obiettivo della diversificazione deve essere il contenimento della rischiosità complessiva del portafoglio a parità di rendimento atteso su base annuale e non una frammentazione dello stesso in tanti strumenti spesso anche troppo simili fra loro.
È poi assolutamente necessario selezionare gli strumenti migliori che servano a perseguire la strategia di investimento delineata considerando sia i rendimenti corretti per il rischio che l’onerosità connessa con la scelta adottata. I
Investire per piccoli importi su strumenti simili per strategia e con solo l’emittente diverso non protegge da alcun rischio e accresce i costi amministrativi.
Talvolta, come nel caso citato, queste scelte di investimento sono effettuate dal risparmiatore per proprio conto, come risultato di una “gestione fai da te”.
In altri casi invece, come spesso succede, sono decisioni prese sotto consiglio di sportellisti, addetti titoli o promotori finanziari. Il tutto, come spiegato dal settimanale, porta ad accrescere i costi.
Allo stesso modo, una politica di eccessiva movimentazione del portafoglio non dovuta a reali necessità di investimento ma solo a pressioni commerciali esercitate sulle reti bancarie e delle Sgr porta spesso a compravendere titoli senza motivazioni plausibili.
L’effetto è di capitalizzare plusvalenze sulle quali si pagano le imposte sui rendimenti ma di disperdere parti anche rilevanti di questi guadagni attraverso i costi degli investimenti: commissioni di collocamento e oneri vari.
Per concludere
Attenzione dunque a chi, non al riparo da conflitti di interesse propri o della rete per cui lavora, consiglia di spezzettare troppo i propri risparmi o di effettuare acquisti e vendite con frequenza elevata: dietro queste “dritte” si celano spesso obiettivi che non sono allineati con quelli dei risparmiatori.
Questi escamotage possono essere rilevati da una attenta analisi del rendiconto periodico sui costi inviato ai risparmiatori sulla base della direttiva Mifid2, sempre che questi rendiconti vengano redatti in forma corretta.
Il servizio gratuito offerto da Trasparenza & Investimenti si propone di verificare anche queste situazioni.