
La prima domanda
Perché le banche e gli intermediari cercano di frenare l’applicazione in Italia della direttiva europea Mifid2 sulle regole di trasparenza a tutela dei risparmiatori? Il motivo è semplice: perché non vogliono che i loro clienti capiscano sino in fondo qual è il vero costo che pagano per i servizi di gestione degli investimenti e quanto questo onere riduce i rendimenti dei loro risparmi. Ecco cosa scriveva Nicola Borzi nell’articolo “Italiani formiche, schiacciati da banche e intermediari” sul Fatto Quotidiano del 2 settembre 2019:
“Gli italiani sono stati un popolo di formiche, capaci di accumulare collettivamente una ricchezza privata che sino a qualche anno fa non aveva eguali con gli altri Paesi. Ora però sul fronte del risparmio l’Italia sta frenando. Tra i fattori che hanno innescato questa frenata c’è il ristagno ventennale dei redditi delle famiglie ma anche un’altra causa che spesso passa inosservata: la continua tosatura dei risparmiatori effettuata da banche, società finanziarie, assicurazioni.
Secondo gli ultimi dati, a fine 2017 la ricchezza netta delle famiglie italiane era di 9.743 miliardi di euro, pari a 8,4 volte il reddito disponibile, superiore a quella delle famiglie francesi, inglesi e canadesi. Ma il dato si sta riducendo dopo il massimo raggiunto nel 2013, mentre gli altri Paesi avanzano. Le case restano la principale forma di investimento e valgono 5.246 miliardi. Le attività finanziarie (liquidità, depositi bancari, azioni, obbligazioni, quote di fondi comuni, polizze assicurative) hanno raggiunto 4.374 miliardi, in crescita sul 2016. Il totale dei debiti (mutui e prestiti) era di 926 miliardi, un valore inferiore, in rapporto al reddito, rispetto ad altri Paesi.
Nel 2017 la crescita delle attività finanziarie delle famiglie è stata sostenuta più dall’aumento di valore dei titoli posseduti, pari a una crescita del 2,6%, che dall’accumulazione di nuove attività (+1,1%). Nei patrimoni delle famiglie crescono i depositi bancari (dal 10% al 13% del totale), calano le azioni (dal 12% al 10%) e le obbligazioni (dall’8% al 3%). Negli ultimi anni sono cresciuti il risparmio gestito (quote dei fondi comuni e gestioni patrimoniali) e le polizze finanziarie. Dietro questa trasformazione ci sono decisioni prese dalle banche, che in passato erano i principali emittenti di obbligazioni e che hanno ridotto la raccolta attraverso questi strumenti, poiché oggi gli conviene approvvigionarsi di denaro direttamente dalla Banca centrale europea. Ma ci sono anche i ricavi che banche, società di gestione del risparmio e assicurazioni realizzano sui prodotti venduti ai risparmiatori.
Ad esempio, come rilevato dai dati di Assogestioni, l’associazione che raggruppa le società che vendono fondi comuni di investimento in Italia, al 30 giugno 2019 il patrimonio investito nelle quote di questi strumenti è arrivato al record storico di 2.195 miliardi. Ma i risparmiatori spesso non sanno, o non messi in condizione di accorgersi del fatto, che il costo dei fondi comuni venduti in Italia è superiore alla media europea e che questo maggiore onere finisce per “ammazzare” i rendimenti. Il dato emerge con forza dal primo rapporto annuale sul risparmio gestito in Europa pubblicato a gennaio 2019 dall’Esma, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Nel decennio 2008-2017, i fondi comuni di investimento azionari venduti ai risparmiatori italiani hanno avuto costi complessivi pari al 37% delle performance lorde, mentre la media europea era del 24%. Un primato condiviso solo con la Spagna e l’Austria. In Europa l’Italia è stata invece primatista incontrastata per i costi dei fondi obbligazionari (33,5% contro una media del 27%). L’Esma ha preso questi dati da analisi condotte dalla Banca d’Italia e dalla Consob, che dimostrano che la tosatura dei risparmiatori avviene attraverso commissioni create in modo da essere più “rapaci” che in altri Paesi e fatte per remunerare le reti di distribuzione. Ai promotori finanziari e alle società di gestione del risparmio va infatti il 70% dei costi considerati.
Non solo le commissioni sui fondi comuni non si riducono né con il passare del tempo né con la dimensione dell’investimento del risparmiatore, ma altre analisi dimostrano che la tosatura dei clienti da parte dei fondi comuni avviene esattamente nelle stesse dimensioni e con le stesse modalità sia nelle fasi di mercato rialzista, quando gli investitori guadagnano, sia nelle fasi ribassiste, quando i risparmiatori perdono”.
Modalità simili di applicazione degli oneri sono realizzate anche sulle vendite di altri strumenti finanziari, quali le gestioni patrimoniali o gli strumenti assicurativi.
Il tuo diritto
<id=”tuodiritto” name=”tuodiritto”> Nell’Unione Europea tutta una serie di norme tutela i diritti dei risparmiatori. Tra le più recenti c’è la direttiva Mifid2 che disciplina i servizi finanziari e aggiorna la prima direttiva europea Mifid del 2007. È entrata in vigore in Italia il 3 gennaio 2018, dopo il rinvio di un anno deciso nell’autunno del 2016 rispetto alla data prevista inizialmente a gennaio 2017. La direttiva Mifid2 ha l’obiettivo di fornire un’ulteriore protezione per gli investitori e impone a banche e intermediari maggiore chiarezza sul fronte dei costi dei prodotti e dei servizi finanziari venduti ed erogati ai clienti.
Dietro il rinvio dell’entrata in vigore in Italia della direttiva Mifid2 e dietro anche alla sua attuale mancata applicazione (la norma è stata largamente disattesa sul fronte della trasparenza) ci sono proprio i costi a carico dei clienti. L’obiettivo della Mifid2 è quello garantire ai risparmiatori di avere cifre chiare e comprensibili per fare in modo che tutti, anche le persone poco avvezze alla finanza, possano capire quanto guadagnano, quanto perdono e quanto pagano agli intermediari finanziari. Ma Assoreti, l’associazione delle reti di consulenza finanziaria, in Abi, l’associazione delle banche, e in AssoSim, l’associazione delle società di investimenti, si sono domandati “come evitare una sollevazione di massa, quando alcuni risparmiatori si accorgeranno di pagare alte commissioni nonostante performance negative?” (tratto dall’articolo “Il tentativo di celare l’impatto totale dei costi sui risultati”, Plus24 – Il Sole 24 Ore del 29 settembre 2018, di Lucilla Incorvati e Gianfranco Ursino). Qesta melina però ha sollevato “le proteste delle associazioni dei consumatori, ma anche da parte di alcuni operatori del settore, dopo la pubblicazione sul Sole 24 Ore di un documento riservato firmato congiuntamente dalle principali associazioni di categoria degli intermediari e indirizzato alle authority. Nel documento Abi, Assoreti, Assosim ed Assogestioni hanno chiesto alla Consob di proporre all’Esma l’avvio di un tavolo di lavoro per fornire chiarimenti in merito alla stesura definitiva dell’informativa dettagliata sui costi che la Mifid2 chiede agli intermediari di inviare ai clienti almeno una volta l’anno. Un rendiconto che dovrebbe essere inviato prima possibile per la prima volta con i dati relativi al 2018, che continua però ad essere procrastinato nel tempo. Qualche operatore ha annunciato che lo invierà tra giugno e luglio. L’Abi, Assosim e Assoreti hanno successivamente ribadito che non si tratta di un tentativo di allungare ulteriormente i tempi, ma di ottenere dei chiarimenti dettati dalla necessità di avere un’informazione omogenea e comparabile a livello europeo. Varie associazioni hanno subito scritto al Mef e alla Consob, per ribadire che non occorre andare oltre con i tempi perché i clienti hanno diritto di conoscere al centesimo di euro i costi dei servizi di investimento”, raccontava l’articolo “Non si placano le polemiche sui rendiconti dei costi” pubblicato su Plus24 – Il Sole 24 Ore del 23 febbraio 2019 da Gianfranco Ursino. |
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Il fine ultimo
L’obiettivo della campagna “Trasparenza Investimenti” dell’Aduc, l’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori, è quello non solo di rispondere alle richieste dei risparmiatori che vogliono avere informazioni chiare e dettagliate, validate da una fonte terza, sui costi effettivi che hanno sostenuto nel 2018 per la gestione dei loro investimenti. Il fine ultimo di questa iniziativa è quello di raccogliere una mole sufficiente di dati statistici per poter sensibilizzare adeguatamente le autorità di vigilanza, innanzitutto la Commissione nazionale per le società e la Borsa (Consob), e il Parlamento in modo che la tutela dei risparmiatori stabilita dalla direttiva europea Mifid2 per quanto attiene al diritto alla trasparenza non resti lettera morta, o non venga nei fatti mortificata attraverso rendiconti incomprensibili, parziali od omissivi, ma sia invece realizzata compiutamente da tutti gli intermediari e da ogni banca.
Quello che Aduc, con questa campagna, intende realizzare è insomma portare il proprio contributo in tutte le sedi perché sia data concreta applicazione al principio contenuto nel primo comma dell’articolo 47 della Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”.
Si tratta di una vera battaglia di democrazia a favore degli italiani. Da molti anni infatti i diritti dei risparmiatori, che in teoria dovrebbero venire garantiti in ogni modo a livello nazionale e sovranazionale, in Italia sono stati invece spesso applicati in modo disomogeneo o incompleto, quando non disapplicati del tutto. Esemplare su questo fronte è quanto avvenuto in passato quando, anche con l’approvazione della Consob, sono stati venduti ai risparmiatori strumenti finanziari rischiosi, costosi e soprattutto non allineati con le loro necessità e il loro profilo di conoscenza e competenza.
Il rendiconto
Una recente ricerca condotta sulle prime 20 società del settore ha dimostrato che in Italia tre banche su quattro non applicano appieno le regole di trasparenza previste dalla direttiva Mifid2, la direttiva europea entrata in vigore il 3 gennaio 2018, dopo uno slittamento di un anno, che prevede la tutela degli investitori chiedendo alle società del settore di fornire informazioni sui costi dei servizi di investimento e sui prodotti finanziari chiare e trasparenti, sia prima che dopo il collocamento dei loro prodotto. Ma in Italia queste informazioni sono fornite in modo incompleto e, guardacaso, senza indicare l’impatto dei costi sui rendimenti degli strumenti finanziari.
Questo avviene anche perché, come scriveva Gianfranco Ursino nell’articolo “Risparmio, la melina sui costi chiari sta per finire” sul Sole 24 Ore del 22 giugno 2019, “la direttiva Ue e i regolamenti attuativi non hanno indicato una data precisa di scadenza entro la quale gli intermediari dovevano inviare, almeno per il primo anno, la rendicontazione periodica. Aggrappandosi alle problematiche tecniche e interpretative le banche hanno tergiversato per inviare la documentazione nei mesi estivi quando i clienti sono più distratti, magari nascondendo le informazioni rilevanti in mezzo a decine di pagine di documentazione, cercando di inserire nello stesso invio insieme ai pessimi risultati del 2018 (quasi tutte le asset class hanno chiuso lo scorso anno in territorio negativo) quelli relativi ai primi mesi del 2019 chiuso auspicabilmente in positivo sulla scia della ripresa dei mercati: un accostamento che potrebbe attutire il malumore degli investitori”.
Il rischio infatti non è tanto che banche e intermediari non rispettino totalmente le nuove regole europee sulla trasparenza dei costi dei servizi di investimento, ma che “anneghino” le cifre rilevanti in decine di pagine contenute nel rendiconto obbligatorio, oppure che le calcolino in modo disomogeneo o fuorviante. Ecco perché la lettura del rendiconto in moltissimi casi non è affatto semplice ed ecco perché l’Aduc, l’Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori, offre gratuitamente il servizio di lettura e analisi dei rendiconti a tutti i risparmiatori che intenderanno avvalersi di questo strumento.
Quello che Aduc, con questa campagna, intende realizzare è insomma portare il proprio contributo in tutte le sedi perché sia data concreta applicazione al principio contenuto nel primo comma dell’articolo 47 della Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”.
Si tratta di una vera battaglia di democrazia a favore degli italiani. Da molti anni infatti i diritti dei risparmiatori, che in teoria dovrebbero venire garantiti in ogni modo a livello nazionale e sovranazionale, in Italia sono stati invece spesso applicati in modo disomogeneo o incompleto, quando non disapplicati del tutto. Esemplare su questo fronte è quanto avvenuto in passato quando, anche con l’approvazione della Consob, sono stati venduti ai risparmiatori strumenti finanziari rischiosi, costosi e soprattutto non allineati con le loro necessità e il loro profilo di conoscenza e competenza.